lunedì 16 novembre 2015

Venerdì 13 Novembre 2015 e I miracoli e l'orrore.


 Amici Miei,
i tragici fatti di Parigi del 13 novembre scorso mi hanno impedito finora di parlare di una cosa meravigliosa che è accaduta proprio venerdì scorso, proprio negli stessi momenti: il concerto dei BàshaKa Indie alla Corte de’ Miracoli di Maglie.

C’erano tutte le premesse per una grande serata: 1) il pubblico giusto, quello che ride nei momenti giusti, che ti segue con attenzione, che ti supporta nei momenti di defaillance; 2) l’atmosfera perfetta, la voglia del pubblico pagante di assistere a uno spettacolo che ci si aspetta divertente, e la nostra voglia di offrire una performance all’altezza della situazione. Non per niente diversamente dal solito eravamo anche vestiti in gran spolvero.  Non che di solito si suoni in ciabatte e canottiera, ma l’altra sera ci abbiamo tenuto a indossare l’abbigliamento “adatto” a una sala da concerto. Cosa che ovviamente nel nostro caso non può non risultare ironica e autoparodistica. 3) La location, quel gioiellino che è la Corte de’ Miracoli, nascosto dietro una traversa qualsiasi, pericolosamente vicina all’abitazione di un personaggio piuttosto noto.

Non so neanche per quanto tempo abbiamo suonato, Pasquale, Roberto e io, a me è sembrato un secondo e mezzo... tutto così scorrevole e liscio, pieno di momenti di improvvisazione pura con battute nate lì, nel momento, grazie al pubblico e alla location e all’atmosfera. Peccato che molte di quelle battute probabilmente non le ricorderemo per poterle incorporare nei prossimi spettacoli... Già mentre montavamo la strumentazione nel pomeriggio il tasso di cialtronaggine era altissimo. Insomma, la serata perfetta.

Poi, si riaccendono le luci in sala, si chiacchiera un po’ con gli amici, e si viene a sapere la notizia: “C’è stato un attentato a Parigi, si parla di 16 morti”. In quel momento non sai cosa dire... Si corre subito al cellulare per cercare su internet qualche notizia. Poi si va in pizzeria a mettere qualcosa nello stomaco e qualcuno chiede di cambiare canale alla tv che manda in onda i soliti videoclip musicali. Altro che 16 morti. E si cena in silenzio. E si va a casa e si passa la notte davanti al computer (io non ho tv) guardando e riguardando quei video girati col telefonino, si avverte sotto la pelle la disperazione. E si fanno pensieri da persona “abituata” agli attacchi terroristici. Perché la valanga di emozioni e pensieri contrastanti l’hai già provata quindici anni fa e hai avuto tempo e modo per fare una scrematura, per capire che non devi cascare nella trappola. Perché la prima cosa che ti viene in mente è: ammazziamoli tutti. Poi però ti ricordi di cosa è successo l’altra volta, quando per 3000 americani morti in mezz’ora, 500mila iracheni, il 90% dei quali totalmente innocenti, bambini, donne, vecchi, bambini, bambini, bambini... sono stati ridotti in polvere in un’operazione chiamata “Libertà in Iraq”! E infatti due giorni dopo gli attacchi di Parigi, la Francia bombarda la Siria. Quanti terroristi sono morti? Quanti innocenti?

In tutto questo, io, col mio essere me stesso, con il mestiere che faccio, io dove mi pongo? Cosa posso fare io? Come posso leggere il fatto che mentre io facevo divertire 60 persone, a neanche 2000 chilometri di distanza succedeva l’impensabile? In una città che ho visitato solo pochi mesi fa, dove mi sono fatto una meravigliosa foto in “Rue du Bac”, nella stessa città dove si trova la Corte de’ Miracoli, quella raccontata da Victor Hugo. In questi casi si dice sempre che l’unica cosa che una persona può fare è fare del suo meglio. Io lo stavo facendo del mio meglio, mentre tutto accadeva: è servito a qualcosa?

E ripensandoci, stavo facendo del mio meglio nel 2001? E pensandoci ancora meglio, sto facendo del mio meglio in questo momento? Perché anche in questo preciso istante, quello in cui io scrivo o quello in cui voi leggete, un bambino sta morendo ucciso da una bomba, o dal fatto che la guerra gli impedisce di mangiare. Perché tutti mettiamo bandiere a mezz’asta e candele ai balconi quando c’è un attentato, purché sia a Parigi si intende. Non mi ricordo molte candele accese il giorno dell’attentato in Kenya, e non vedo candele accese tutti i giorni per le quotidiane vittime delle guerre. Ed ecco che, come dice la canzone dei Pearl Jam che ho postato sul mio profilo Facebook, mi viene da pensare che viviamo una vita molto fragile e che il pensiero di come la viviamo felici e spensierati mentre la morte ci sovrasta potrebbe sopraffarmi, se ci pensassi troppo. Ma la canzone si conclude con un pensiero positivo: penso al tuo volto e la paura se ne va. E forse è proprio questo che serve. Alzare gli occhi dalla tastiera, guardare il mio splendido giardino fuori, sentire l’odore delle cicorie quasi pronte per essere servite, e provare col mio lavoro a fare più del mio meglio. Fare qualcosa di utile. Ridere è utile, e mi sento benedetto per il fatto di dare un’ora di gioia alle persone che io lo so hanno le mie stesse preoccupazioni e anche di peggiori. Ma quello che vorrei davvero è far ridere il Califfo, farlo ridere davvero, farlo scompisciare dalle risate, o “sbordellare”, come mi dicono spesso, farlo rotolare per terra dalle risate, per fargli capire che dovrebbe già ringraziare il suo Dio per essere vivo e in salute, e che togliere la salute e la vita agli altri non salverà nessuno.

Bac


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